Città

 

Ho sempre odiato le città.

Fin da bambino, quando le auto frenetiche non mi facevano mai attraversare la strada, ed io per lunghi minuti, stavo appollaiato sul marciapiede ad attendere invano che il flusso ininterrotto dei veicoli lasciasse uno spiraglio per fiondarmi dall’altra parte della carreggiata.

Poi ancora da ragazzo, quando in estate andavo al mercato da solo a fare la spesa, e i genitori e i nonni mi mettevano in guardia affinchè prestassi attenzione al resto che mi dava il negoziante, ai borseggiatori, al chiudere la bicicletta e a non prendere caramelle da nessuno. Non capivo perchè le persone volessero fregarmi!

Mano a mano che diventavo adolescente iniziavo poi a vedere i miei amici che, con fare navigato, si intrattenevano con ragazze in piazza, invece di venire al campo per giocare a calcio, e al contempo iniziavo a non capire perchè bisognasse andare a lavorare invece di potersi godere la vita in modo più semplice. Tutto questo accadeva mentre la zona in cui abitavo stava diventando periferia urbana, con gru, cantieri, caseggiati nuovi, uffici, ragionieri “incamiciati” e tanto, tanto traffico.

Il tempo passa e da ventenne abbondante continuavo ad odiare le città con la loro aria irrespirabile, con il tram-tram continuo giorno e notte, con il vociare ininterrotto, con la loro routine giornaliera, con il rumore assordante della massa di umani e quello ancora più pestilenziale delle aziende. Ma non capivo ancora visceralmente perchè odiavo le città.

Un giorno poi mi recai in una città veramente grande. Di quelle che si chiamano Capitali. Sceso dal treno, per uscire dalla stazione inciampai almeno una decina di volte in corpi “alloggiati” per terra, in mani supplichevoli a chiedere elemosina, in occhi lacrimevoli di vite sperdute. A fianco a me gentleman in doppiopetto con il rolex al polso e la ventiquattrore passavano sbattendo le scarpe lucide a pestare quei piedi scalzi, sovente accompagnati da avvenenti impiegate impegnate al telefono.

Stordito, impaurito, rintronato, uscii dalla stazione ed una bolgia infernale mi accolse; i famosi “uomini delle caramelle” di quand’ero ragazzo riempivano le vie, sotto a palazzi imperiali, statue di artisti celeberrimi, dinnanzi alle chiese più celebri del mondo. Motorini sfrecciavano ovunque, nelle vie rinomate della città, negozi di marche prestigiose attorniati di turisti e gente che rovistava nei cassonetti. Rifiuti ovunque ed opulenza, auto di lusso e miseria, sirene di ambulanze, carabinieri, pompieri, vigili inondavano l’aria puzzolente di carne. La carne dei milioni di abitanti che strisciano nella città, che nascono, prolificano e crepano, nè più nè meno dei vermi o delle zanzare. Vivono succhiando la linfa di cemento, nuotano nei loro fiumi oleosi intrisi di parole e promesse senza futuro, nutrendosi di denaro e fregando il prossimo, autentiche zecche umane.

Ecco questa è la città. Quel luogo dove tutto l’inutile materiale crea le distanze tra le persone, dove tutti fanno di tutto per avere, non per essere. Quel luogo dove è fondamentale fingere, far credere, far vedere ciò che non si è, perchè in realtà si ha paura di essere sè stessi.

E ora, solo ora ho capito veramente perchè odio la città. Perchè la città è un’invenzione degli uomini. E l’uomo è, per natura, falso ed ipocrita. E la città è fatta a sua immagine. Poco importano i monumeti costruiti con sudore e fatiche inimmaginabili dagli schiavi dove, per il divertimento di pochi, morivano uomini e bestie, poco fanno le statue fatte costruire dalla Chiesa corrotta o da ricchi che sfruttavano loro simili, poco fanno le effigi che richiamano battaglie di conquiste e sottomissioni sanguinose. Bellissime, uniche a vedersi ma celano, ancora una volta, falsità ed ipocrisia.

Per questo adoro la montagna, il mare, il deserto, la tundra, la giungla, e la natura in generale. Perchè sono così come le vedi, senza finzioni ed ipocrisie. Lì, del resto, non ci vive l’uomo. Lì posso essere semplicemente me stesso.

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Pubblicato da spazivuoti

Nato in qualche luogo pianeggiante, tra capannoni, zanzare, arte, e sullo sfondo le montagne.