PASSATO REMOTO – storia di una Valle che fu –

“Il passato remoto è un tempo verbale dell’indicativo e si usa per indicare un fatto avvenuto nel passato, concluso e senza legami di nessun tipo con il presente; la lontananza è di carattere sia cronologico, sia psicologico” (Treccani).

Fu una mattina piuttosto grigia di qualche anno fa che giungemmo a Col di Prà. Il meteo garantì precipitazioni dal primo pomeriggio e, considerato il nostro allenamento, prevedemmo di effettuare il nostro giro all’interno di questo lasco di tempo.

La cosa non andò propriamente così.

Fu già piuttosto difficoltoso trovare il sentiero di accesso per la nostra meta: la forcella dell’Orsa risalendo il Vallone d’Angheraz.

La segnaletica si presentò piuttosto malconcia e soggetta all’usura del tempo ed il sentiero era piuttosto malmesso, pareva che da qualche anno nessuno ci mettesse piede (del resto 1500 mt di dislivello possono dar fastidio), pur essendo tracciato nel cuore delle Dolomiti.

La prima parte procedette piuttosto pianeggiante e, nell’attesa di trovare il bivacco Dordei (ma dov’era finito?), giungemmo sotto al sentiero attrezzato del Dottor: quattro cavi semi divelti che superavano uno sperone roccioso.

Il sentiero del Dottor

Per fortuna ce la cavammo più che dignitosamente con l’arrampicata (!!!). Furono le 8 quando giungemmo nella zona dei catini, camminammo a passo sostenuto ma gli avvallamenti si susseguirono frammezzati da brevi passaggi rocciosi e le nubi diventarono minacciose. Fummo avvolti dalle nebbie in un paesaggio grandioso e spettrale dove pareti lontane si mostrarono per essere nuovamente inghiottite. Iniziò a piovigginare. Il passo se possibile accelerò ancora, fummo sull’orlo della corsa. Un ultimo strappo (ma non doveva esserci un’altro cavo?) ci condusse in forcella. Freddo e pioggia gelida.

Brevi cenge esposte e tratti di facile arrampicata uniscono i catini

Breve discesa e risalimmo al passo Canali. Questo tratto lo conoscevo bene per averlo già percorso in passato. Il più era fatto. Iniziava la discesa nuovamente ignota. Diluvio universale. Le pareti erano inondate di acqua e lo spettacolo era indimenticabile. Eravamo soli, in una terra di nessuno, su di un sentiero che non facevano che i cacciatori di camosci. Ci fiondammo giù a scapicollo per la cosiddetta

La tromba del Miel

 Tromba del Miel, un vallone immenso che divenne, dopo un paio di lunghi traversi, una esile riga marrone coperta di fogliame dentro un bosco infinito di faggi e latifoglie. Una marea di tornanti con lunghi traversi che non fecero perdere quota. E intanto il diluvio continuò. Non resistette un lembo di pelle asciutto, alla faccia del goretex! Giungemmo in auto dopo 9 ore di cammino delle quali 7 sotto alla pioggia. Distrutti, infreddoliti ma soddisfatti: non incontrammo nessuno lungo tutto il percorso. Fummo pronti a rituffarci nel traffico tentacolare di Ferragosto.

Fu una mattina di qualche mese fa quando vidi le immagini della Valle di San Lucano sconvolta da un incendio di immani proporzioni che ne cancellò i connotati. La sola cosa che mi venne da dire, con il nodo alla gola, fu: “Com’è beffardo il destino”.

Pubblicato da spazivuoti

Nato in qualche luogo pianeggiante, tra capannoni, zanzare, arte, e sullo sfondo le montagne.