MENTRE ANNA DORME

Inserisco la batteria ed accendo la frontale. Scendo dall’auto. Freddo porco. Le sei del mattino. Domenica. Serro gli scarponi. Prendo le picche. Verifico di avere la giacca a vento e il succo di Pompelmo. Cristo ma cosa se ne fa uno del succo di pompelmo a -12! Mi fermo a fissare le lame delle picche. Alla luce della pila hanno una bella sagoma. Inizio la mia giornata. Un automa che vaga nei boschi alla luce della pila. Inciampo sovente. Sella dei Cotorni.

L’alba

Il couloir

Guardo giù. All’orizzonte il sole fiammeggia sopra la Pianura dormiente. Sono in cima ad un ingorgo immenso di macigni in bilico. E’ il bacino del Rotolon. Quello marrone che si vede fin da casa mia. Quello che insidia i paesi sotto con rischio di franare ad ogni alluvione. Pianegggiando il sentiero si incunea tra le pieghe della montagna. Due salite tra i mughi. Un traverso finale. Calzo i ramponi. Il sole acceca le cime 500 metri sopra di me. Devo fare presto. Tra poco potrebbe iniziare a scaricare. Impugno le mie spade dentate. Mi vedo come un cavaliere medioevale. Salgo veloce. Diventa più erto. Peccato che la gamba non sia mai abbastanza tonica. Il respiro diventa pesante. Soffio. Scruto ogni metro di terreno. Allarmo tutti i sensi. Una lastra di roccia con sopra neve inconsistente richiede decisione. Lascio il solco principale. Miro alla forcella a sinistra. La scavalco. Scendo 10 metri. Eccolo. Il couloir. A sinistra placca delicata con rigole di ghiaccio. A destra rocce rotte e ripide. In mezzo una fessura incrostata. Neve inconsistente, sentenzio. Lo peso. Inizio a salire. Dapprima velocissimo. Poi rallento. La pendenza aumenta. 80°. Almeno -15°. Ma non percepisco nè l’una nè l’altro. Concentro tutto sui quattro arti e le loro protesi metalliche. E’ la soluzione.

Uscita dalle difficoltà

L’unica. Un passo ostico. Saggio il terreno. Cerco un aggancio. Incastro il piede. Poco elegante. Efficace sicuramente. Un movimento delicatissimo. Rocce marce e placche ghiacciate. Il punto di non ritorno. Il rampone stride contro la roccia. Scende. Si assesta. L’adrenalina inebria. La pendenza cala. Gli ultimi metri. Ancora un passo ostico. Lo bevo. Domino la valle in piena spaccata. Allungo il braccio. Come una gru. Pianto la becca. Entra fino al manico. E’ una zolla di erba ghiacciata. Perfetta. Sono eretto. La cima lassù. A pochi metri. E’ un tramite. Un punto. Un passaggio obbligato per scendere. E’ l’avventura che conta. Trangugio il mio pompelmo ghiacciato. Aria glaciale. Un guanto vola giù. Imprecazioni che si sprecano. Inghiottito per sempre. Meglio lui che io. Il cielo si stria di nuvole scure. Sono le 9. Peccato che le gambe non siano mai abbastanza toniche.

Pubblicato da spazivuoti

Nato in qualche luogo pianeggiante, tra capannoni, zanzare, arte, e sullo sfondo le montagne.