Partimmo il giorno successivo alle ore 4,30 senza sapere, se non spannometricamente, dove si trovasse Brentino Belluno. Dopo quasi tre (dico TRE!!!) ore di auto giungemmo a destinazione, in vista delle pareti. Guardai all’insù e, asciutto, ricordo che sentenziai “par beo. Tanto beo”. Abbandonammo letteralmente l’auto nel primo slargo possibile e dopo 45 minuti di ravanage giungemmo alla base del cosiddetto Sass de Mezdi’. A destra una placca levigata e a sinistra un tetto cosi’ grande che non ne avevo mai visti in vita. Al tempo il nostro livello si aggirava sul 6a lavorato in condizioni di ottima aderenza, con la scarpa giusta ed il peso forma perfetto con tutte le congiunzioni astrali favorevoli, per cui vi lascio immaginare che la nostra scelta arrise alla placca di destra ed i numeri per uscire da Ladro di Baghdad (6c). Giunti in cima, ovviamente felicissimi per la ripetizione, non avevamo la minima idea di dove si svolgesse la discesa, per cui giungemmo all’auto con il buio fatto. Fortuna volle che a Brentino esisteva (spero esista ancora) un bar che faceva ottimi panini, mi pare che si chiamasse il Gattopardo.
Nei successivi anni ripetei parecchie delle classiche del tempo. Sovente con la chiodatura originale e scoprii un mondo spettacolare fatto di pareti verticali e gocce, di diedri esaltanti e strapiombi, di verticalità e di spalmi; poi, repentino come era nato, l’entusiasmo svani’. Senza un motivo preciso, forse solo gli obiettivi diventano diversi, più lontani. Forse c’è sempre il bisogno di scoprire. Forse è insito nel mio modo di intendere l’arrampicata e la montagna con la continua ricerca di nuovi stimoli. Forse semplicemente avevo iniziato a trovare auto al parcheggio.
Resta il fatto che le pareti di Brentino Belluno rimangono un capolavoro della natura e un luogo da frequentare in punta di piedi e….. in punta di dita.