I primi anni Ottanta: Il punk di J.M. Boivin e le suite Floydiane di R. Casarotto

Un frame del film “Solo di Cordata”

Il 9 Gennaio 1983. Una delle più grandi imprese che si potevano pensare nelle Dolomiti Orientali ebbe a compiersi. Renato Casarotto, vicentino schivo e fortissimo compì in 11 (avete letto bene Undici!!) giorni di scalata la prima salita invernale solitaria del diedro Cozzolino al piccolo Mangart di Coritenza. Tutto l’impegno richiesto fu amplificato dalle condizioni pessime in cui la parete si presentò: fessure incrostate di ghiaccio, roccia intasata dalla neve che lo costringeva quasi a scavare un tunnel per poterla scalare. In un giorno riuscì a salire solo 20 metri di parete, tali e tante furono le difficoltà. Fu l’elegia alla lentezza, alla costanza, il rebus fu risolto con grande e sapiente capacità di attendere e non mollare mai.
casarotto-aaj-12198517200-1405527323Elementi che contraddistinsero il vicentino anche nelle altre imprese per cui rimane vivo il suo ricordo: 
la Sud dell’Huascaran, la trilogia del Freney – per cui ancora oggi le guide Valdaostane quando dite che siete vicentini vi guardano con benevolenza – i 5 km del ridge of no return sul Mckinley, il mitico Diedro nelle Pale di San Lucano, leggendario ed appartato, simbolo del grande Renato ed inno al suo passaggio silenzioso.

Di contro, proprio in quegli anni, si muoveva nell’Ovest a velocità supersonica, “retto dalla virtù dell’ecclettismo senza pregiudizi per l’avventura e non stretto tra le casacche della specializzazione” (cit. La storia dell’alpinismo Vol. 2), un giovane francese noto soprattutto perché accompagnò P. Gabarrou sul fantastico Supercolouir. Jean Marc Boivin. Memorabili furono le sue corse sul Linceul in 2,45 ore che a Desmaison costò una settimana di fatiche, stupefacenti le ripetizioni della Bonatti al Pilier D’angle in 4 ore, e poi, a chi gli chiese il motivo di tutta questa fretta Boivin candidamente rispose: “Il fatto è, che la notte, anziché in un freddo bivacco preferisco dormire con Francoise”. Boivin scoprì poi lo sci estremo, il deltaplano e nel 1981 salì la via americana all’Aguille du Fou, si lanciò con il biposto e, nel pomeriggio, assieme a Berhault (eccolo un’altro di quelli giusti), salì la diretta americana al Petit Dru, scese in doppia e si lanciò con il parapendio fino a Chamonix dove atterrò prima di notte. Sempre amante delle novità, compì il primo volo dalla cima dell’Everest fino al campo avanzato, aprendo poi la strada al Base Jumping.

Due figure molto lontane tra loro, accomunate dalla capacità di dominare tutti gli stili e gli ambiti. Due riferimenti per le generazioni future, spesso dimenticati perché non furono fagocitati dagli sponsor e dai media. Casarotto lo immagino come un pensatore romantico, l’uomo che a tavolino pensa le imprese senza tralasciare nulla, forse l’ultimo dei grandi cavalieri solitari; Boivin un indomabile, quasi irriverente, il pensiero e l’azione si fondevano nello stesso spazio temporale.

Casarotto era una lunga suite “Floydiana” che dopo una partenza strumentale dominava in un crescendo spettacolare, Boivin un punk frenetico, breve e dissacrante.

Due alpinisti che non mi stancherei mai di ascoltare.

Pubblicato da spazivuoti

Nato in qualche luogo pianeggiante, tra capannoni, zanzare, arte, e sullo sfondo le montagne.